Chi ha ragione: io o tu?



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Chi ha ragione, io o tu? Io ovviamente!

A chi non viene da pensarlo?

Questo è un argomento abbastanza caldo, perché ci riguarda un po’ tutti, ed è spesso alquanto complicato dirimere la questione.

Di solito si dice che la ragione non sta mai da una parte sola, e io l’ho sempre pensato, ma da alcune mie esperienze ho scoperto che ci sono dei casi in cui si ha completamente torto o completamente ragione.

Personalmente, divido le ragioni in oggettive e soggettive.

Le ragioni soggettive, che possono essere addotte a giustificazione di un proprio comportamento, sono quelle che riguardano il proprio stato mentale ed emotivo: l’essere tristi, impauriti, stanchi, ecc.

Quelle oggettive, invece, sono quelle valide per chiunque, indipendentemente dalle condizioni personali nelle quali ci si può venire a trovare.


Un esempio di ragione assoluta

Una persona arriva in ritardo ad un appuntamento con un professionista, al quale aveva spontaneamente dato quell’appuntamento sulla base dei suoi impegni.

Nel momento in cui il professionista, che ha una sua agenda di impegni, le fa notare il ritardo, la persona in questione si arrabbia (perché sa di avere torto e rifiuta l’idea), e inizia a dare la colpa al professionista, accusandolo di essere troppo rigido.

Naturalmente, sta dando per scontato che con lei è giusto essere “elastici” anche se questo comporta che il professionista arrivi tardi all’incontro successivo, e che quindi, a causa sua, un’altra persona debba aspettare senza alcun motivo.

Pretende talmente di avere ragione che insulta il professionista, dicendogli che non è affatto capace.

 Gli dice che non lo vuole più rivedere, e non vuole nemmeno ascoltarlo e prendere in considerazione le obiezioni che lui le fa, in quanto non è disposta ad ammettere di avere un torto.

Anzi, rincara la dose, tirando fuori le sue “ragioni”, che riguardano lo stress causatole dal lavoro e il suo stato di “vittima” di una situazione molto difficile, e altre simili irrilevanze.

Certamente, questo esempio è eclatante, e qui non ci sono dubbi, su chi ha totalmente ragione e chi totalmente torto.


Un esempio di ragione condivisa

Poniamo il caso di una moglie (ma potrebbe anche essere un marito) che mostra un atteggiamento freddo nei confronti del marito, e non permette di essere avvicinata, se non in rare occasioni.

Crea un clima di distanza in casa, c’è poca comunicazione e pochissima condivisione.

Verrebbe spontaneo stabilire che la colpa, se le cose vanno male nel rapporto, è sua.

La risposta è sì, se lei conosce la sua parte di responsabilità, e non fa assolutamente nulla per migliorare la situazione, né si fa aiutare per la sua specifica parte del problema.

No, in caso contrario:

  • né se è lei a darsi da fare per cambiare la situazione, ma il marito non la segue e non si prende la sua parte di responsabilità;
  • né se nessuno dei due è consapevole della propria parte del problema.

Di certo c’è che all’interno di una coppia, il problema è sempre di entrambi, mai di uno solo, come spesso molti coniugi pretendono che sia.

Il problema è sempre di entrambi, mentre la ragione potrebbe anche essere in capo ad uno solo dei due.


Le cause all’origine del problema

Secondo me, all’origine dell’incapacità di accettare i propri errori, c’è un grosso fraintendimento educativo: ci hanno insegnato a non sbagliare.

Alcuni di noi, sono stati cresciuti nella paura di sbagliare con la minaccia, sempre eseguita, di venire puniti gravemente, se si sbagliava qualcosa.

L’errore è stato troppo spesso visto e insegnato come qualcosa di brutto, grave e da evitare a tutti i costi.

Ma tutti sappiamo che è impossibile non sbagliare.

Gli errori, sono la nostra enciclopedia di vita: è attraverso di loro che impariamo come e cosa fare e non fare.

Non solo possiamo sbagliare, ma è proprio necessario farlo.

Oppure, ci sono persone che sono state cresciute con l’idea di essere perfette e migliori degli altri, per cui, senza alcuna necessità di mettersi in discussione.

Altro grave fraintendimento educativo!

Un conto è comunicare ai propri figli che li si ama comunque qualunque cavolata facciano, e che sono meravigliosi anche se sbagliano, perché la cosa importante è correggersi e migliorare sempre.

Altra cosa è dire sei perfetto come sei.

Questo diventa addirittura dannoso per il figlio, che viene indotto a pensare di non dover faticare né per migliorare sé stesso, né per ottenere le cose che desidera, e può diventare un problema a livello sociale.

Se ti interessa l’argomento, puoi ascoltare l’episodio del mio podcast sullo stesso argomento, qui: Podcast – Psicologia & Spiritualità



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